Gruppo Astrofili Arezzo | Il James Webb Space Telescope e l’Universo nascosto
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Il James Webb Space Telescope e l’Universo nascosto

Il Giugno scorso il telescopio Spaziale Hubble ha registrato qualche problema al computer principale e i sistemi di bordo sono entrati in safe-mode, fino a che i tecnici della NASA non sono riusciti ad ovviare il problema facendolo tornare operativo. Così in questi giorni abbiamo sentito parlare sempre più spesso del James Webb Space Telescope (JWST), considerato il suo successore nell’osservazione4 dello spazio

Frutto di un progetto nato più di 10 anni fa dalla collaborazione di tre grandi agenzie spaziali mondiali: NASA, ESA e CSA (l’agenzia spaziale canadese), JWST sembra ora giunto, dopo tanti rinvii, finalmente al suo completamento. Il 1° luglio, infatti, è arrivata la conferma dalle agenzie che il JWST ha superato anche l’ultima revisione, compresa la futura integrazione con il razzo che lo porterà in orbita.

Il nuovo telescopio partirà alla fine di ottobre 2021 dallo spazio porto di Ariane Space nella Guyana francese e trasportato in orbita solare da un razzo Ariane 5 debitamente modificato e con destinazione il punto di Lagrange L2 a 1,5 milioni di Km dalla terra. Una volta in orbita sarà il più grande telescopio mai inviato nello spazio e darà la possibilità di ampliare le osservazioni condotte da Hubble.

Orbitando intorno al sole al punto L2 il telescopio rimarrà allineato con l’orbita terrestre, consentendo allo scudo termico multistrato di proteggerlo dalla luce e dal calore di Sole, Terra e Luna, che comunque non sono oggetti di studio, e garantendo nello stesso tempo anche un’ininterrotta raccolta di dati

La tecnologia di Webb è la più sofisticata. Composto da 18 specchi più piccoli, lo specchio primario di Webb è un vero e proprio gioiello: non solo per le sue misure, 6,5 metri contro i 2,4 di Hubble, ma è anche ricoperto di un sottilissimo strato d’oro che lo renderà ancora più sensibile agli infrarossi e 100 volte più potente di quello di Hubble.

Ma perché utilizzare i raggi infrarossi per lo studio dello spazio? Le osservazioni a raggi infrarossi innanzitutto consentiranno lo studio di oggetti e di regioni dello spazio altrimenti oscurate dai gas e dalle polveri (a cui Hubble non può ovviare), inoltre le nubi molecolari, i dischi protoplanetari e i nuclei di galassie attive, che sono oggetti più “freddi” rispetto alla temperatura delle stelle, emettono radiazioni prevalentemente nell’infrarosso. Anche la luce dei corpi nello spazio profondo in allontanamento tende anch’essa a spostarsi, giungendo a noi con frequenza ridotta e quindi meglio osservabile con questi strumenti.

[Image Credit: NASA/Chris Gunn]

Molti sono i progetti di studio che utilizzeranno i dati raccolti e ogni anno una commissione apposita valuterà le proposte, ma i temi principali delle osservazioni di Webb saranno: la struttura a grande scala dell’Universo, l’origine e l’evoluzione delle prime galassie, la nascita e la formazione di stelle e pianeti e infine l’evoluzione dei sistemi planetari e le condizioni per lo sviluppo della vita.

Interessante sarà soprattutto l’osservazione dei quasar per scoprire le origini e la formazione dell’Universo.

I quasar sono buchi neri supermassicci situati al centro di molte galassie e studiando le loro proprietà si potrà capire quale ruolo hanno avuto per la formazione delle galassie nelle prime fasi di evoluzione dell’Universo primordiale. Questi oggetti celesti sono molto luminosi e hanno una massa superiore da milioni a miliardi di volte di quella del sole, e assorbendo la materia che hanno intorno rilasciano dei forti fasci di luce rendendoli, non a caso, gli oggetti più luminosi dell’Universo. Infatti la luce di un quasar supera quella di tutte le stelle della galassia dove è situato. Considerando che la luce di questi quasar ha iniziato a viaggiare quando l’Universo era ancora molto giovane impiegando miliardi di anni per arrivare fino a noi, si può dire che con Webb faremo un salto indietro nel tempo!

L’Europa è molto presente in questo progetto, contribuendo con lo strumento NIR Spec (spettrografo nel vicino infrarosso) e con una quota del 50% dello strumento MIRI che opererà nelle lunghezze d’onda del medio infrarosso, senza contare tutto il personale coinvolto che seguirà il lancio e sarà in supporto alle operazioni di missione.

Delle 1172 proposte di studio per il primo anno di osservazione ne sono state scelte 266 e il 33% proviene dagli stati membri dell’ESA, occupando il 30% del tempo reso disponibile del telescopio. Di questi 266 progetti scelti ben 9 saranno guidati da ricercatori Italiani: 7 dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e gli altri due dall’Università di Milano-Bicocca e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa.

Un’ultima curiosità! JWST porta il nome dell’amministratore della NASA durante i programmi Gemini, Mercury e Apollo, nonché fautore del centro di controllo di Houston in Texas.

Non resta che aspettare il lancio!

Cristina Graverini

Mika
miketta@gmail.com
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